Le letture di oggi ci invitano a riflettere su due temi profondi: la realtà della sofferenza, del giudizio e della restaurazione divina, e la chiamata all'abnegazione e al discepolato nella vita di fede. Nella prima lettura, tratta dal libro di Nahum, incontriamo immagini crude che parlano della devastazione operata dall'impero assiro, in particolare dalla città di Ninive. Le vivide descrizioni della distruzione e della violenza servono a ricordare le conseguenze che derivano dal peccato e dalle ingiustizie di una società corrotta. Ninive è ritratta come una "città sanguinaria", piena di menzogne e saccheggi, dove le grida degli innocenti rimangono inascoltate. Eppure, in mezzo a queste tenebre, un messaggero porta una buona notizia: "Ecco, sui monti avanza un portatore di buone notizie, che annuncia la pace!". Questo annuncio riecheggia la speranza che Dio non ha abbandonato il suo popolo.
In questo messaggio profetico, troviamo una dualità di disperazione e speranza. Mentre Ninive rischia la distruzione, il testo ci rassicura che Dio restaurerà la "vite di Giacobbe" e l'orgoglio di Israele. Questo aspetto della restaurazione ci ricorda che anche nella nostra vita - quando ci sentiamo devastati dal peccato, dal fallimento o dal peso del mondo - la grazia di Dio è sempre presente, in attesa di portare guarigione e rinnovamento. La promessa di restaurazione ci dà la speranza che, per quanto profonda sia la nostra disperazione, Dio ha il potere di redimere la nostra rottura, mentre attendiamo con ansia il giorno del cielo, dove non ci saranno più dolore, lacrime o morte.
Ora, rivolgendoci al Vangelo, ascoltiamo Gesù che traccia il percorso radicale del discepolato. Ci invita a prendere la nostra croce, a rinnegare noi stessi e a seguirlo. Questo può sembrare
in contraddizione con il messaggio di speranza che ascoltiamo da Nahum. Come possiamo abbracciare la sofferenza e allo stesso tempo avere la certezza della restaurazione di Dio? Eppure, proprio qui sta la verità del nostro cammino di fede.
La chiamata a prendere la nostra croce non è solo una chiamata a sopportare la sofferenza per amore della sofferenza, ma piuttosto un invito a condividere l'aspetto redentivo della sofferenza di Cristo. È attraverso l'abnegazione - scegliendo di mettere Dio e gli altri prima di noi stessi - che scopriamo la pienezza di vita che Egli promette.
Gesù pone una domanda profonda: "Che vantaggio ci sarebbe per uno a guadagnare il mondo intero e perdere la propria anima?". Nel nostro mondo moderno, siamo spesso portati a rincorrere il piacere, la ricchezza, l'onore e il potere, solo per scoprire che queste ricerche finiscono per creare un vuoto dentro di noi. Al contrario, donarsi completamente a Dio e agli altri porta alla vera realizzazione. Può richiedere la rinuncia a certe comodità e sicurezze. Può richiedere di abbracciare le nostre "croci", qualunque esse siano: prove nelle nostre relazioni, lotte nella nostra fede o sacrifici nella nostra vita quotidiana. Ma attraverso questi atti di donazione, ci viene promesso che non solo ritroveremo la nostra vita, ma incontreremo anche la comunità e il sostegno che Dio costruisce intorno a noi. Non siamo mai soli.
Inoltre, Gesù ci assicura che vedremo il frutto della nostra fedeltà: "il Figlio dell'uomo verrà con i suoi angeli nella gloria del Padre suo, e allora ripagherà ciascuno secondo la sua condotta". Questo è un potente promemoria del fatto che, anche se oggi possiamo affrontare prove e croci, la nostra fedeltà culminerà nella gloria di Dio. Siamo incoraggiati non solo a sopportare, ma a partecipare attivamente allo sviluppo del Regno di Dio sulla terra.
Mentre continuiamo la nostra giornata, che è un altro dono per noi, portiamo questi messaggi nel nostro cuore. Abbracciamo la chiamata all'abnegazione e vediamola come un cammino verso la libertà, la gioia e la restaurazione.
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