Le letture di oggi ci invitano a riflettere profondamente sulla realtà della parola profetica di Dio, sulla sua giusta ira, sull'umanità di Gesù nei momenti di dolore e sulle connessioni teologiche che ci legano all'Eucaristia, un ricco arazzo che tesse il tessuto della nostra fede.
Nel brano di Geremia, incontriamo una scena di intenso conflitto profetico. Il profeta Hanania dichiara un messaggio di pace e di restaurazione, profetizzando la fine dell'oppressione babilonese con la promessa di un'imminente libertà. Ma Geremia, fedele alla sua vocazione, non risponde con rabbia ma con cupa verità. Egli sa che le false speranze, se da un lato possono far piacere alle orecchie di chi è disperato, dall'altro portano a un'angoscia maggiore. Egli sottolinea le gravi conseguenze delle parole fuorvianti di Hanania e annuncia l'imminente ira di Dio. L'immagine del "giogo di ferro" è vivida, simbolo del peso del peccato, della ribellione e della dura realtà delle situazioni che il popolo di Dio deve affrontare.
Ciò che dobbiamo ricordare è che l'ira di Dio non è capricciosa, ma piuttosto una risposta alla persistente infedeltà del suo popolo. I suoi castighi hanno uno scopo; non sono solo una punizione, ma anche una restaurazione. Come un genitore amorevole che disciplina un figlio per il suo bene, l'ira di Dio ha lo scopo di riportarci a Lui, un invito al pentimento e un desiderio di intimità. Nella nostra vita, i momenti di difficoltà e di sofferenza possono favorire una profonda crescita spirituale, risvegliandoci alle scelte che dobbiamo fare per tornare al Suo abbraccio amorevole. La falsa speranza che Hananiah offrì al suo popolo, a costo di un'autentica profezia e verità, è un monito per noi sacerdoti che a volte cadiamo nello stesso errore. Predichiamo come se non ci fosse nulla di sbagliato nel mondo e il male fosse una mera costruzione della nostra immaginazione. Mentre i diavoli ci circondano, facciamo finta che non ci siano, o che la loro presenza non sia qualcosa che dovrebbe renderci attenti alle insidie che ci hanno teso. E se io, come sacerdote e pastore del popolo di Dio, non riesco a proteggere i fedeli dalle insidie, che razza di pastore sono? Ecco perché imploro tutti i fedeli in ascolto di pregare per i nostri sacerdoti e religiosi, affinché possano adempiere alla loro vocazione profetica in modo a Lui gradito.
Quando passiamo alla morte di Giovanni Battista nel Vangelo di Matteo, assistiamo a un altro momento profondo. Ecco un vero profeta la cui voce per Dio poteva essere messa a tacere solo da una spada. Se è vero che Giovanni ha chiuso gli occhi in questa vita per poi riaprirli nell'altra e giungere alla sua ricompensa, Gesù si ritira in un luogo deserto, consumato dal dolore. La morte di Giovanni, suo cugino e precursore, segna un capitolo doloroso nella missione di Gesù. Si può solo immaginare il dolore provato da Gesù, non solo per Giovanni, che amava, ma anche per il popolo che avrebbe perso la voce profetica che lo chiamava al pentimento e all'avvento del Regno di Dio. Anche se Gesù non era solo un mistico e conosceva i segreti eterni, sentiva ancora, nella sua natura umana, il bisogno di piangere, solo che, come dichiara Paolo, non era il pianto dei non credenti o dei pagani, perché era un pianto pieno di fede nel Padre che avrebbe ricompensato giustamente Giovanni.
In questo momento di dolore privato, il cuore di Gesù è mosso da compassione per le folle che lo seguono. Questa giustapposizione di dolore personale e compassione divina mette a nudo l'incredibile profondità dell'amore di Gesù per l'umanità. Egli non si allontana dai bisogni della gente nel momento dell'incertezza; anzi, li raggiunge, cura le loro malattie e li sfama miracolosamente.
Vediamo quindi che Gesù, anche nel suo dolore, incarna il servizio, l'altruismo e la vera essenza della sua missione. Questo ci porta al momento cruciale del pasto miracoloso, in cui bastano cinque pani e due pesci per sfamare migliaia di persone. Qui troviamo un profondo legame teologico con l'Eucaristia. Così come Gesù prende, benedice, spezza e dà i pani per sfamare la moltitudine, fa lo stesso nel Cenacolo con l'Eucaristia. L'improbabilità matematica di un nutrimento sufficiente per migliaia di persone rispecchia la grazia sconfinata che si trova nell'Eucaristia, dove tutti possono venire, mangiare ed essere saziati. L'alimentazione dei cinquemila non è un semplice miracolo, ma una prefigurazione della Nuova Alleanza stabilita nel Corpo e nel Sangue di Gesù.
Mentre riflettiamo su queste profonde connessioni oggi, siamo chiamati a esaminare le nostre vite. Stiamo ascoltando i profeti che Dio ci manda o cerchiamo parole di conforto che ci portano fuori strada? Nei momenti di dolore e di sconforto, riusciamo a trovare nel nostro cuore la capacità di rimanere compassionevoli e di tendere la mano a chi ha bisogno? E soprattutto, riconosciamo il miracolo eucaristico che avviene in mezzo a noi, offrendoci il nutrimento che soddisfa la nostra più profonda fame di Dio?
Avviciniamoci oggi con il cuore aperto per ricevere la parola di Dio e la grazia dell'Eucaristia, fiduciosi che attraverso il Suo amore e la Sua misericordia, non siamo condotti alla disperazione ma alla vita in abbondanza. Possiamo trovare la nostra forza in Lui, proprio come le moltitudini nutrite in quel giorno miracoloso, strette nell'abbraccio del nostro amorevole Salvatore che ci chiama a condividere il banchetto divino.
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