Le letture della Messa di oggi riguardano l'abbraccio della vera fede, contrapposta a quella puramente soggettiva, e la comprensione della natura della nostra testimonianza a Cristo. La prima lettura è tratta dalla Seconda Lettera ai Tessalonicesi, attribuita a San Paolo che, insieme a Silvano e Timoteo, scrive alla comunità da loro fondata a Tessalonica intorno al 50 d.C.. Questa comunità dovette affrontare notevoli persecuzioni e afflizioni per la loro nuova fede. L'intento di Paolo nello scrivere questa lettera non era solo quello di fornire consolazione, ma anche di affermare la loro fede e incoraggiare la loro perseveranza in mezzo alle sfide. In quel periodo, la comunità cristiana primitiva si trovava a navigare in un ambiente ostile, dove doveva rimanere salda nella sua nuova identità di seguace di Cristo tra le pressioni della società e l'opposizione religiosa.
La seconda lettura del Vangelo di Matteo si colloca all'interno del ministero di Gesù, probabilmente tra il 30 e il 33 d.C., rivolgendosi alle folle e ai suoi discepoli. Qui, Gesù pronuncia una serie di rimproveri severi ai legittimi leader religiosi del suo tempo, gli scribi e i farisei. La sua critica espone l'ipocrisia e le carenze morali di questi leader, ai quali era stata affidata la responsabilità di guidare i fedeli, ma che invece li stavano portando fuori strada. Questo riflette la tensione tra le pratiche della vecchia alleanza e il nuovo modo di vivere che Gesù stava proclamando.
Nel brano della Seconda Tessalonicesi, ascoltiamo l'accorata gratitudine di Paolo per una comunità che fiorisce nella fede, nell'amore e nella resistenza. La loro capacità di perseverare sotto la persecuzione non è autogenerata, ma è una risposta alla grazia di Dio. Paolo riconosce che le loro prove sono una prova del giusto giudizio di Dio, indicando che attraverso la sofferenza vengono preparati per il Regno di Dio. Quanto profondamente questo risuona con noi oggi! Nelle nostre lotte - personali, sociali o spirituali - ci viene ricordato che possiamo trovare uno scopo e persino dare gloria a Dio nella nostra resistenza. Dovremmo pregare, come fa Paolo, per ottenere la grazia di perseverare nella fede. Il nome di nostro Signore Gesù non deve essere glorificato solo nel nostro culto, ma anche attraverso le nostre azioni in un mondo che ha disperatamente bisogno della testimonianza della vera fede.
Al contrario, le parole di Gesù nel Vangelo di Matteo sono un campanello d'allarme nella loro intensità. Egli mette a nudo l'ipocrisia dei capi religiosi, accusandoli di escludere gli altri dal Regno in cui essi stessi si rifiutano di entrare. Gesù li ammonisce perché danno più valore ai giuramenti rituali che ai luoghi sacri che significano la presenza di Dio. Questo ci insegna lezioni cruciali sull'autenticità. Nella nostra vita, dobbiamo chiederci se anche noi non siamo colpevoli di puntare il dito contro gli altri senza riconoscere le nostre mancanze. Dobbiamo riflettere sulle nostre pesanti regole che possono ostacolare la genuina connessione con Dio e con i nostri fratelli e sorelle che possono essere in difficoltà, ma non dobbiamo mai compromettere la nostra fede, ciò che è buono e santo e ciò che è vero. Ed è qui che sta il problema di oggi: con il pretesto della compassione o della tolleranza, compromettiamo la nostra fede, la nostra morale e la nostra identità. È una linea sottile, ma va tracciata.
Questa dualità ci chiama a cercare non solo una relazione personale con Cristo, ma anche a garantire che le nostre azioni riflettano la compassione e l'integrità che la nostra fede senza compromessi richiede. Anche noi siamo chiamati a essere testimoni del potere trasformativo di Cristo, non semplici spettatori delle nostre tradizioni. Dobbiamo sempre cercare di capire lo spirito con cui quelle tradizioni sono state formulate e fare riferimento a quello spirito originario come guida per le nostre azioni attuali. Questa è stata l'intuizione di nostro Signore riguardo al sabato: “Il sabato è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato” (Marco 2:27), richiamando l'attenzione sullo scopo originario. Oppure, parlando del matrimonio: “Mosè vi ha permesso di divorziare dalle vostre mogli perché i vostri cuori erano duri. Ma non fu così fin dal principio” Matteo 19:8.
Se aspiriamo a crescere nella fede come i Tessalonicesi, dobbiamo ricordare che ciò avviene più concretamente quando ascoltiamo le parole di Gesù. La nostra presenza nel mondo deve invitare attivamente gli altri a un rapporto più profondo con Dio, piuttosto che erigere barriere di giudizio. Non dobbiamo mai essere quelli di cui Gesù disse: “Guai a voi... Voi chiudete il Regno dei cieli davanti agli uomini. Non entrate voi stessi e non permettete l'ingresso a chi cerca di entrare... Attraversate mari e terre per far sì che uno si converta, e quando ciò accade lo rendete figlio della Gehenna due volte più di voi stessi” Matteo 23,13-22. Che possiamo incarnare la grazia e la pace che vengono da Dio Padre e dal nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in modo autentico e generoso, ispirando gli altri con il nostro esempio umile e caritatevole a cercare il Regno di Dio con cuore aperto. Sforziamoci di avere una fede che non solo resista, ma che insegni agli altri a entrare nella pienezza di vita che Cristo offre a tutti. Amen.
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